il quaderno degli appunti è dove e come nascono le idee
quelle che poi vanno a finire sulle tovaglie e tra le lenzuola...

lunedì 3 settembre 2012

Comunicare con i sì... senza i ma

Mio padre ama le parole. Credo che le ami per amore, ma se così non fosse le amerebbe comunque per rispetto. Per un “uomo di legge” le parole sono gli attrezzi del mestiere, l’unico strumento a disposizione per cucire e scucire discorsi, regole, interpretazioni. Le parole allora devono essere precise, puntuali, piene e allo stesso tempo asciutte, dense, significanti. Ho faticato molto da bambina a capire e sostenere un linguaggio fatto di questo. Da bambini le parole sono un divertimento, le si combina e le si scombina più per il piacere, per il gusto di vedere la reazione che provocano, per il suono che hanno, per il fatto che tutto può essere un gioco e questo assomiglia a un puzzle con tanti pezzi, molti dei quali andrebbero bene per lo stesso incastro. Poi però bisogna scegliere. Da grandi si impara a selezionare, si impara a conoscere la comunicazione funzionale e a trovare la propria strategia. Dopo aver faticato e lottato contro quel primo sistema conosciuto, ovviamente alla mia età mi ci ritrovo dentro con tutte le scarpe. Ho il cruccio del linguaggio imperfetto, che non conduce alla pacificazione o alla comprensione a tutti i costi. Mi sono laureata in linguistica testuale, ho letto infiniti testi di filosofia del linguaggio per capire il mio pensiero, prima del pensiero del mondo, mi interesso di PNL e scrivo diari come terapia. Cerco le regole che funzionino, cerco di applicarle. Cerco di pulire le parole, ogni mattina le spazzolo, insieme ai pensieri, per guardarle con occhi nuovi. Mi dico che allora riuscirò a spiegare, a capire e a farmi capire, a conquistare una comunicazione senza ma. Poi vado incontro al mondo, e mi rendo conto che spazzolare le parole è solo uno dei mille possibili modi di prendersi cura di sé. E degli altri. C’è chi comunica con il proprio corpo, con l’apparenza, con le attenzioni: esperti di abbracci, di beauté, di gesti generosi. A ognuno il suo, ci si incontra alla fine comunque per comunione di intenti. Le parole non sono che un mezzo, il mio preferito ma un mezzo. Nutrirlo è essenziale per me, qualcuno che non sia goloso della stessa cosa farà del suo meglio incicciottando altrove. Ma voglio comunque spiegare il perché. Il perché di questo discorso. Qualunque sia il modo che scegliamo per entrare in relazione, qualunque sia il linguaggio, la comunicazione ha uno scopo primario: scambiare informazioni. Su noi stessi, sulle nostre opinioni, sul nostro modo di interpretare e leggere la realtà. Comunque ha bisogno della collaborazione di chi parla e di chi ascolta, perché la comunicazione non è altro che un processo di partecipazione. Vale la regola: “in quale direzione voglio andare”? Per questo molto spesso possiamo prevedere i risultati di una conversazione ancora prima che cominci, dal nostro stato d’animo e dalla consapevolezza delle nostre profonde intenzioni, per esempio. Non c’è bisogno che l’altro dica niente di particolare, se siamo diretti verso il successo lo raggiungiamo, se viceversa siamo proiettati verso il sospetto, la contraddizione, la stanchezza, nulla ci risparmierà una bella discussione. Basta saperlo. Sapere che invece si può fare. Sapere che ogni tanto, soprattutto, bisogna lasciar fare. Ho capito che quando le persone mi parlano di qualcosa di solito vogliono essere più che altro ascoltate. È il desiderio legittimo di esprimere se stessi e di farsi conoscere. Posso pensarla diversamente, qualche volta, ma se mi concentro sul loro bisogno di dare posso essere accogliente. Posso dire un sì, invece che un ma, e ho regalato uno spazio. E le persone hanno tanto bisogno di spazio. Poi posso dire anche un ma, a volte mi è richiesto, a volte no. Ma il mio ma, se ha aspettato un momento, nuoterà allegro nello spazio dell’altro, e lentamente vi si scioglierà. Invece di annegare in uno scontro. È la differenza che corre tra chi vuole essere felice e chi invece vuole di più aver ragione. Buone comunicazioni!

martedì 28 agosto 2012

la famiglia è su facebook, vieni a trovarla!

... e fai sapere che ti piace! Perché dopo pensamenti e ripensamenti, giorni e giorni di vagabondaggio per la rete in cerca di buoni motivi, domande insistenti ad amici e parenti e soprattutto superata la proverbiale pigrizia della figlia piccola... si è decisa a farlo! Grazie fin da ora a tutti coloro che spargeranno la voce!

lunedì 27 agosto 2012

omaggio ad Alvaro Amorales








lunedì 19 settembre 2011

federe per giulio e nora


La settimana scorsa Giulio e Nora hanno festeggiato 25 anni di matrimonio... Questo è stato il regalo che Della, Paola e Laura mi hanno commissionato per loro.
Molti auguri e... cento di queste federe!

sabato 25 giugno 2011

la famiglia home design exibithion and market


Sono passati diversi giorni dal la famiglia home design exibithion&market, e non uno in cui abbia avuto la calma per sedermi e scrivere di quanto accaduto.

Oggi sì.

E’ stato bellissimo. Bellissimo. Eravamo tantissimi e vorrei ringraziare tutti per la presenza e l’accoglienza e la partecipazione e i sorrisi e l’interesse... e anche per gli acquisti. E’ finito tutto. Quasi tutto.

Si ricomincia.


Scegliere di fare artigianato non è solo scegliere di svolgere una particolare professione.

E’ adeguarsi a una condizione dell’anima, e adeguare l’anima a una condizione.

Quella di lasciare andare, spremersi impegnarsi creare concludere contemplare con soddisfazione (ma anche restare delusi, ogni tanto) e poi lasciare andare... ciò che si è fatto e con esso il tempo e una parte di cuore. Con la fiducia che il cuore è in marcia e ben funzionante finché ha l’audacia di restare vuoto, come vuoto è un contenitore capace di accogliere.

L’artigianato è la risposta alle domande che mi faccio certi giorni quando guardando alla mia vita mi chiedo dove siano finiti alcuni suoi pezzi.

Ho sempre lasciato indietro qualcosa. E sarà che mi avvicino agli anta, ma trasformare quello che sembrava un difetto in vanto a un certo punto è una condizione di sopravvivenza. Ora sono persino orgogliosa di me. So lasciare andare, ho imparato a lasciare andare. Persone, cose, pensieri e periodi.

E creazioni. Di tante non ho più neanche delle foto, alcune se le incontrassi oggi non le riconoscerei, e via dicendo.


L’altra sera due care amiche sono venute a scegliere un regalo di matrimonio tra le cose rimaste dopo la mostra. Era un pezzo importante, per me (sarcastic tablecloth). Quando le ho viste uscire di casa con il pacchetto regalo chiuso ho avuto una vertigine al pensiero che dentro la busta, insieme alla tovaglia sarcastica, c’era una settimana di lavoro e di incazzatura gentile che mi aveva portato a trovare quelle parole.

Una vertigine. Poi ho pensato “ciao”. Poi ho detto “State bene”, rivolgendomi a tutte e tre.

E’ importante. Tante cose in questo periodo della mia vita mi ricordano che tenere la spina attaccata all’esistenza (rubo la metafora alla Pampi) vuol dire succhiare corrente in continuazione, quella che c’è, quella che si può. L’importante è restare collegati (forse qui c’è anche lo zampino di Jovanotti)...


Dovevo parlare della mostra, è vero. Però la mostra è stata anche questi pensieri per me.

Il ricco aperitivo di Luce44 non ho ovviamente avuto il piacere di assaggiarlo, spero di aver detto almeno una parola a ogni ospite, spero che sia stato un evento divertente e leggero come immaginavo, nel progettarlo, che fosse.

Le foto che vedete sono state scattate poche decine di minuti prima che arrivassero le prime avventrici (le colleghe Manu e Ciuci e la cognata Chiara, una citazione dovuta).


Grazie ancora a tutti. Mi sa che lo rifaccio!
















lunedì 23 maggio 2011

Una mostra da Luce44 per leggere la tavola!

E' deciso: da giovedi 23 giugno a domenica 26 giugno la famiglia home design sarà in mostra al ristorante Luce44 di Trastevere (Via della Luce, 44).
Il ristorante ve lo consiglio, è un posticino meraviglioso in una via silenziosa e ha un bellissimo giardino dove si mangia sotto il pergolato.
Le padrone di casa sono attentissime al biologico, all'arte, alla cultura e alla buonissima cucina (si mangia anche vegan, alla bisogna :) ed è il mio luogo preferito a Roma.
Dopodiché: la mostra sarà un evento piuttosto inconsueto! Una delle sale del locale sarà completamente arredata con la biancheria a marchio la famiglia per 4 giorni. La mostra inaugurerà con l'aperitivo del giovedi e resterà allestita fino al brunch della domenica.
Ci sarà occasione di acquistare tovaglie, runner, cuscini, tovagliette, sacchetti per la biancheria, ecc., ma anche di ordinarne per il futuro... Sapete che fare pezzi unici dipinti a mano non favorisce le quantità...
Vi aspetto giovedi 23 giugno alle 19!
Chi fosse interessato a venire all'aperitivo di inaugurazione può rispondere anche a questo post, in modo tale che possiamo organizzare cibo per quanti saremo!

CONSIGLIATO A CHI:
ha matrimoni o festeggiamenti importanti in vista, ama la buona tavola e la letteratura breve, è goloso di romanticismo pop, è fanatico di black&white, mi vuole bene!
SCONSIGLIATO A CHI:
non mangia cioccolata e non sopporta il bianco e nero!

giovedì 19 maggio 2011

Copenhagen 01 | la puoi visitare con il naso all'aria



Che non vuol dire che puoi camminare senza guardare dove metti i piedi. Perché se no arriva la prima bicicletta e ti mette sotto.
Camminare con il naso all'aria a Copenhagen è possibile perché tutto sembra venirti incontro da una direzione non abituale.
Se insieme al naso alzi gli occhi, e disponi i sensi, la città ti regala la possibilità di immaginare. Copenhagen regala idee.
Perché al di là di quello che materialmente offre, che è già molto, sembra che diffonda possibilità.
Attraverso l'aria pulita, l'acqua che bagna, argina, riempie, disegna la città, attraverso la dinamicità delle persone, la loro gentilezza, la cura di ciò che appartiene a tutti, la velocità delle ruote di biciclette e carrozzine, la quantità di bambini, la trasparenza dei muri delle case.
Tutto è accessibile, tutto sembra permeabile, anche tu in mezzo alle cose lo diventi.
Avvertire la possibilità di fare è un dono. Che ti fa una città, una società, quando tiene sufficientemente al concetto di bene comune, quando questo bene è di tutti e da tutti sentito come tale.
Quando una biblioteca pubblica ha l'arredamento che sceglieresti per casa tua e tu tieni alle sue mura bianche come fossero quelle del tuo appartamento, quando nessun volgare slogan politico soffoca le strade e i panorami, quando chiunque tu sia, da ovunque tu provenga e qualsiasi sia il tuo orientamento sessuale hai le stesse mille strade da scegliere per la tua giornata e per la tua vita.
Ho passato alcuni giorni, a Copenhagen, a sognare per la mia città e per il mio Paese le cose semplici che ho visto realizzate lì: quelle che permetterebbero alla gente di riprendere a sognare il proprio presente, il proprio futuro, e quello dei propri bambini invece di veder perpetrare questo stato vischioso e desolante in cui ci troviamo, dove ci si arrovella persino sul se e sul come esercitare i propri diritti fondamentali.
Per realizzare quelle cose semplici che costituiscono la fama dei Paesi nordici ma che sono mediamente patrimonio comune di almeno mezza Europa, e che noi da queste parti sempre più guardiamo da lontano, basterebbe pochissimo.
Basterebbe desiderare di essere una comunità (non un gruppo di uguali, ma una comunità) di persone soddisfatte e strette intorno a principi di rispetto, ecologia, valorizzazione della cultura e dell'arte, serietà politica.
Cose semplici che fanno la grandezza, la bellezza, ma soprattutto la felicità non solo di un intero Paese, ma anche di ognuno dei suoi abitanti. Anche di quelli che già credono di esserlo...